Prof. Renato Gentile

Dipartimento di Psicologia

Università di Parma

 

Casella di testo: Attività verbale nell’uomo
 

 

 

 

 

 

 


Ho cercato molte parole per scrivere le prime righe di introduzione all’argomento relativo al linguaggio nell’uomo.Ma in mente mi risuonavano sempre quelle utilizzate dei nostri maestri Fred Keller e William Schoenfeld, nel lontanissimo 1950. Scritte appunto per introdurre l’argomento: “Nessuna spiegazione del comportamento umano può essere assoluta se si tralascia di considerare l’attività verbale dell’uomo”. Ancora oggi non c’è niente di più attuale.

Sull’importanza e sul valore del linguaggio umano sembra non ci sia nulla da aggiungere, in esso abbiamo riposto tutta la nostra eredità culturale, tutte le nostre conoscenze ed il sapere stesso che ci differenzia dalle altre specie viventi. Ma questo corso non vuole essere una ennesima disamina sul linguaggio. Altre discipline si sono interessate e si interessano a questo argomento. E la psicologia stessa ha spesso messo a fuoco soltanto ipotesi relative al suo sviluppo. Il nostro intento invece è quello di presentare tutto ciò che sappiamo circa le proprietà del nostro comportamento linguistico.

Da molto tempo e da più parti si legge che il linguaggio serve per comunicare e che la comunicazione verbale è la forma più complessa di linguaggio. Su questo siamo certamente tutti d’accordo, ma questa spiegazione non basta più, anzi non sembra più neanche sufficiente a spiegare cosa sia il linguaggio. E’ una affermazione ormai generalizzata, nata da una posizione forse troppo riduttiva, la quale non è in grado di fornire ulteriori contributi a quei settori della scienza che si interessano dell’evoluzione umana e del funzionamento del linguaggio.

In passato tale affermazione restrittiva ha condotto a quel dualismo che ancora, sotto mentite spoglie, riappare nonostante il suo superamento: attraverso il linguaggio l’uomo esprime idee al fine di comunicarle ad altri persone. Il linguaggio è quindi un mezzo per proiettare le idee nello spazio e nel tempo, a qualcun altro, il quale ascoltando ritraduce le parole alle idee sottostanti. Le parole sono indicatori di idee esterne ad esse. Si ricade nel misticismo e nelle spiegazioni circolari; in quei meandri in cui si asserisce l’esistenza di cose che non possono né essere dimostrabili né di non esserlo. Questa posizione, curata e cullata da molti “filosofi” della psicologia, ha agito da ostacolo, indisturbato ed indolore, alla ricerca sperimentale sul linguaggio: se da un lato l’arbitrarietà dei termini con cui indichiamo le cose è un dato accettato, dall’altra la funzione di equivalenza che la genera non è altrettanto nota e diffusa.

Il nostro invito è quello di iniziare a guardare al linguaggio come un comportamento al quale non abbiamo prestato molta di quella curiosità di osservazione cui ogni sperimentalista è legato. Una premessa fondamentale per avviare un nuovo approccio di studio è quella di considerare il linguaggio per quello che in effetti è cioè un comportamento, e come tale può essere studiato seguendo le metodiche adottate da tutte le discipline che hanno un oggetto di studio direttamente osservabile. Da qui in avanti tratteremo quindi di comportamento verbale. Tale precisazione non è da intendersi una ricercatezza terminologica di tipo formale ma propone un riferimento, sostanziale, diverso, in un’ottica più aperta e chiara. Intanto propone una base di osservazione focalizzata alle proprietà messe in atto nella comunicazione.

 

 

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