Prof. Renato Gentile

Dipartimento di Psicologia                                                              

Università di Parma                                                                                 

 

 

Curriculum Biografico Informale

 

Sono nato in Sicilia, a Messina, ma le radici della mia famiglia partono da Siracusa. Da bambino sviluppo una forte passione per l’elettronica, l’astronomia e la fisica in generale ed imparo cose “fuori dal comune”. Oggi, tutto ciò, risulta molto normale, ma allora era da considerarsi una malattia, per fortuna non c’erano molti psicologi in giro e così continuai a crescere sereno e felice.

La mia adolescenza invece è stata molto turbata, ma non complicata, dalla spinta indotta dall’amore e la passione per la musica. Poteva essere una cosa normale ma presto risultò che era un amore strano perché incominciai a deviare dal corso che tutti percorrevano nel senso che non mi lasciavo trascinare dalle mode del momento. Sono cresciuto a latte & biscotti Woodstock, pane & Genesis e birra e Banco del Mutuo Soccorso.  Non lo sapevo ancora, ma ero diventato un ribelle, un idealista… un illuso insomma. Per mia sfortuna non c’erano molti psicologi in giro. Il disturbo non fu mai guarito, con grosse conseguenze emotive, relazionali ed adattive non ancora risolte. Certe notti, soprattutto quando leggo roba pesante (politica e cronaca), mi sveglio in preda al panico, mi trovo in piena crisi di identità; cerco di verificare se ho ancora l’orecchino al lobo sinistro, lo trovo e mi rassicuro dicendo “si, sono ancora io, quel ragazzo (?) di sempre”. Generalmente mi riaddormento e sogno. Funziona, e sogno concerti di Pat Metheny e dei Gentle Giant o di vivere in una tribù di Indiani Nativi d’America. Passione ancora non spenta.

 

 

In qualche modo, lottando, nascondendo i capelli lunghi dentro il cappotto, l’orecchino (simbolo di un concetto di libertà “obbligatoria”) tra i capelli ed accettando, in silenzio, i commenti e le critiche dei miei insegnanti (“capellone senza cervello”), sono arrivato alla “maturità” scolastica, malgrado loro, distinguendomi. Fu, per i miei insegnanti, un duro colpo, una grossa “delusione”: ero diventato, nonostante le apparenze, il simbolo dell’impegno e del successo scolastico. Mi sentivo semplicemente ripagato per la scarsa condotta di quegli anni, in massima parte correlata alle molte “assenze ingiustificate” collezionate per andare ad ascoltare concerti dal vivo o per suonare quando capitava. Ancora oggi i miei insegnanti “si ricordano” di me e delle mie “storture”, anche i miei compagni conservano un caro ricordo di me. Ed anch’io di ognuno di loro.

 

Una lunga riflessione, durata tutta l’estate, mi guida alla scelta della Facoltà universitaria. In fondo il mio scopo era trovare una motivazione (ma la definirei una scusa), per attendere ancora un poco ed allontanarmi momentaneamente dalla ricerca di un “lavoro serio”, aspettando l’occasione giusta per dedicarmi completamente alla musica. Decisi che lo studio della Filosofia e della Storia rappresentavano la mia motivazione reale per acquisire nuove competenze ed allargare le mie conoscenze. In fondo era ciò che mi mancava: la storia dell’uomo e del suo pensiero non tecnologico. Intanto iniziai a frequentare, con scarso profitto, il Conservatorio Musicale.

Il giorno degli esami di ammissione mi misero letteralmente alla porta perché dichiarai di “non saper suonare e che ero lì perché volevo imparare”. Trascritta la “bocciatura” sul registro delle “attitudini”, andai in corridoio e con la scusa di provare la chitarra, costosissima, di un altro candidato che attendeva di essere “ascoltato” iniziai a suonare un brano. Il “maestro” della commissione uscì per chiedere silenzio ma appena mi vide mi chiese invece di chi fosse quel brano. Risposi “di Renato” (in verità mi riferivo a Renato Villari) e .… mi ammisero in classe come auditore: potevo essere idoneo ma “dovevo maturare”. Una brutta parola che, ancora oggi mi sento dire, ma di cui non ho alcun riferimento. Mi ribellai a questa decisione e non frequentai più le lezioni; una reazione di orgoglio che non servì a nulla se non a cambiare il corso della mia vita. Tornai al mio strumento di origine, con quello non avevo problemi; facevo casino, ma con garbo, e non passavo certo inosservato.

 

All’Università inizia, incidentalmente, un susseguirsi di occasioni che danno l’avvio ad una formazione culturale, non radicalmente lontana dalle mie aspirazioni, ma con obiettivi e caratteristiche diverse.

Inizio a frequentare le lezioni universitarie e vengo accolto, per puro caso, all’interno di un gruppo di studio della Cattedra di Psicologia Generale, diretta dal Prof. Ettore Caracciolo. Oltre alle lezioni istituzionali, eravamo invitati a partecipare ad incontri settimanali chiamati “Internato”. Solo oggi il termine mi è interamente comprensibile; la sua accezione infatti era da riferirsi alla Psichiatria. Infatti: un professore ordinario che si ferma a studiare con un manipolo di studenti, formandoli con varie attività tecnico-pratiche alla professione, per tutti i mercoledì dell’anno dalle 15 alle 19,30 era da ospedale psichiatrico. Una roba da Matti, ma certamente una grande Scuola. A questo punto la mia preparazione fisica, chimica e di organizzazione dei processi di lavorazione da un lato e quella filosofica dall’altro sfociano in una scelta naturale, la psicologia sperimentale e quindi nella ricerca.

In quelle occasioni di studio conosco il Prof. Paolo Moderato, la Prof. Silvia Perini, Rosalba Larcan ed altri grandi della Psicologia Italiana come Francesco Rovetto, Fabio Celi, Roberto Anchisi, Luigi Pedrabissi, Salvatore Soresi e tanti altri, tutti “fratelli”, figli del nostro comune Professore Caracciolo.

Io, in qualche modo divento compagno di classe di Nanni Presti, Olimpia Pino, Francesca Pergolizzi e, visto come stanno le cose, mia madre non può dire che il mio caratteraccio deriva dal fatto di aver frequentato cattive compagnie. Sarà certamente un “dono” della mia dotazione genetica. La diagnosi è rimasta quella di sempre: “tutto suo padre”.

 

La svolta decisiva viene lentamente ma in un rapido susseguirsi di occasioni grandissime. Sempre in quegli anni di Università ho la fortuna di incontrare il Professor Silvio Ceccato, un vero “Maestro Inverosimile”. Professore di cibernetica, ingegnere, diplomato in violoncello e composizione, agronomo per formazione di base, aveva ricevuto da una multinazionale l’incarico di lavorare alla costruzione di un elaboratore elettronico (computer) che, date le caratteristiche, sarebbe stato battezzato Adamo II. Per portare a termine questo compito, iniziò una lunga ricerca sul “modo di pensare” umano, sulle operazioni che la nostra testa esegue, adoperando come fonte di osservazione i bambini. Le sue osservazioni e le sue scoperte sono ricche di una messe di contenuti che nessuno si aspettava e che molti probabilmente hanno sempre sottovalutato. L’ho sempre ritenuto, ancora oggi, uno dei miei grandi maestri. Impossibile dimenticare il suo sorriso,  la sua immensa cultura e le sue barzellette.

A quel tempo (1976), il termine cibernetica, non aveva un significato materiale reale, sembrava un costrutto della fantasia ma, per me, rappresentò un suggerimento molto chiaro. Con queste idee in testa, molto accattivanti, incominciai ad avere chiaro cosa volevo fare ma, proprio sul più bello … lasciai tutto ed iniziai una lunga vita da musicista professionista, in giro per l’Europa. Tre anni lontano da tutto. Quando tornai a casa, ripresi in mano gli studi e chiesi al Professor Ceccato di collaborare alla stesura della mia tesi di laurea, approfittando delle sue vacanze a Vulcano. Il ricordo è vivo; il Prof. Ceccato litigava con il mio relatore, un suo carissimo amico, chimico e filosofo della Scienza, Giovanni Vaccarino, perché non vedeva chiare alcune sue posizioni nei passaggi di base della nostra attenzione; processo che, secondo loro, è alla base della formazione dei significati delle parole. Appena laureato (insieme ai miei grandi sostenitori Paolo Moderato e Nanni Presti), scrivemmo un articolo in cui si dava vita ad un “approccio cibernetico” applicato alla problematica della rieducazione dell’handicap, quello che cercavamo di dire forse era un po’ troppo “avanti” o, forse, eravamo veramente andati “fuori di testa”. La seconda mi sembra una spiegazione più parsimoniosa. Paolo e Nanni, nel mio inconscio “immaginario” (nel senso che non l’ho ancora trovato e quindi ne ho creato uno virtuale) rappresentano rispettivamente il mio fratello maggiore e quello minore; facendo incazzare realmente il primo per la mia irruenza e ostinazione e tranquillizzare il secondo fornendogli un modello da non imitare.

 

Fresco di laurea inizio a frequentare Congressi Internazionali. In uno di questi ho l’occasione di conoscere S.W. Bijou, uno dei più grandi nomi della Psicologia dello Sviluppo, nasce una collaborazione e, sempre insieme al gruppo cui spesso farò riferimento, a cui aggiungere Olimpia Pino, al Congresso di Monaco del 1982, presentiamo un Modello di Assessment Computerizzato (ABACUS) che girava su un “potente” Commodore 64. Una vera innovazione, un grande successo.

Fu durante una mia lezione ai partecipanti all’Internato (non ricordo più quando ma se non erro erano le 16 del 3 Marzo del 1981), sulle “Problematiche metodologiche del Bio-feedback”, vengo avvicinato dal Professor Paolo Moderato che, dopo i complimenti mi propone di lavorare insieme a lui. Sotto la sua supervisione, oltre all’attività di ricerca, inizio l’attività clinica di riabilitazione di soggetti in situazione di handicap. Con un occhio al lavoro e l’altro alla ricerca psicologica, nascono diverse ricerche sperimentali ed il nome del gruppo, grazie ai viaggi di Moderato, che dirigeva la Cattedra di Psicologia Sperimentale, inizia a girare per l’Europa; Tubinga, Monaco, Manchester, Cambridge, Londra, Liegi, Barcellona e Oslo. Il congresso di Liegi è stato uno dei più importanti; la nostra sessione video fu ripassata “a gentile richiesta” per sei volte. Nel pubblico Murray Sidman, Marc Richelle, Phil Hineline, Fergus Lowe, Charlie Catania, Chiesa Mecca, Blackman, e la tifoseria organizzata: Marco e Luca i figli di Paolo Moderato e Francesca Pergolizzi.

Il successo ottenuto ci fece accettare un invito a cena tra i grandi e per me, Nanni e Olimpia quella fu l’ultima cena, nel senso che spendemmo tutti i nostri risparmi per pagare il conto, alla romana; avevamo chiesto le cose più incredibili, tra cui, da bravi italiani, il pane.

 

La prima attività retribuita arriva presto, ancor prima dei congressi. Insieme a tre colleghe dell’Istituto di Psicologia dell’Università di Messina, stipuliamo una convenzione con la Direzione Didattica del Comune di Carlentini, scelto perché la sigla della provincia ci garbava molto: S-R (SR = Siracusa). Il nostro lavoro prevedeva una serie di attività di srceening criteriale e di formazione degli insegnanti sulla gestione didattica delle disabilità cognitive ed evolutive. Tali attività non erano ancora applicate in senso criteriale, tutti ricorderanno la polemica sulla diagnosi funzionale psicologica. Un’equipe di esperti, di cui io rappresentavo a detta del nostro Direttore, l’anima “femminile”, che non tardò ad essere definita “fuorilegge”, per la sua strana composizione e fortemente apprezzata per i risultati ottenuti.

 

Il tempo scorre e tutto si colora di professionalità riconosciuta. Nasce l’esigenza di migliorarsi soprattutto nella professione. Il titolo accademico che possedevo, a dispetto della professionalità acquisita, era inferiore a quello dei maghi e delle cartomanti. Serviva il titolo specifico. Esisteva una corso di laurea in Psicologia a Roma e un altro a Padova, presso le Facoltà di Magistero… la scelta cadde sulla Corso di Specializzazione in Psicologia presso la Facoltà di Medicina dell’Università di Siena. Il Direttore della Scuola di Specializzazione è stato il mio terzo grande Maestro; il Professor Virgilio Lazzeroni. Presso la sua scuola inizia anche la mia attività didattica ufficiale. Di Virgilio Lazzeroni conservo tante care immagini tra cui quella de suoi appunti ancora in veste originale, manoscritti in mezzi fogli di carta. Durante una conversazione, nel suo studio, mi raccontò del suo legame con quei fogli. Durante la prigionia in un campo di concentramento avrebbe voluto scrivere tutte le cose che viveva e che pensava ma non trovava neanche un pezzetto di carta, quella stessa che oggi sporca le nostre città e che per lui sarebbe stato un bene prezioso. Questa confessione mi sconvolse e fece rinascere in me la coscienza ecologista. Lui adesso probabilmente mi ricorda, da lassù (oltre che per essere il solo ad avere il coraggio di fare le domande “di rito” durante la lezione), come il suo più simpatico imitatore; al congresso di Roma del 1989 mi procurarono un camice bianco e con la mia spalla di sempre, Olimpia Pino, inscenammo una delle sue lezioni, arricchita dalle domande “argute” della mia collega. Temevo una reazione negativa (in fondo mi giocavo la carriera), ma invece rimase piacevolmente sorpreso e visibilmente contento, lo ricordo sorridente commentare lo spettacolo con termini “tipici” del vocabolario toscano. La moglie mi avvicinò e mi sussurrò  “lo hai imitato perfettamente; proprio come lui è”. Ancora oggi, prima di presentarmi a lezione, il mio pensiero vola a lui, non voglio dimenticare i suoi insegnamenti, le sue “Lezioni di Psicologia”, il suo rigore metodologico, la sua empatia e la sua precisione. Il suo “inimitabile” carisma invece lo porto nel cuore come un sogno.

 

Intanto che studio, non smetto di frequentare l’Istituto di Psicologia ed aumentano le occasioni di lavoro e crescono le collaborazioni Internazionali. Il Professor Charles A. Catania dell’Università di Baltimora (Maryland), viene in Sicilia per lavoro, lo invitiamo a tenere una serie di conferenze e di seminari presso il nostro Istituto. E qui nasce la grande scoperta della nostra vita; il Comportamento Verbale (qualche maligno potrebbe dire che forse fino a quel momento avevamo comunicato a gesti), e di conseguenza il tormentone per i nostri studenti: “perché l’uomo parla?”. Nanni Presti, da poco laureato in medicina, vola in America a studiare da lui per un anno. Quando torna porta la rivoluzione nella nostra ricerca, inizia una nuova collaborazione, veramente speciale, fondata sulla divisione dei compiti. Io lavoro con i bambini affetti da autismo, Nanni trascorre il suo tempo a guardare i filmati delle sessioni per analizzare e classificare le relazioni verbali messe in gioco. In pratica: io gioco (e mi diverto) e lui lavora. Un buon affare. Moderato guarda entrambi e controlla che non spariamo…. fesserie metodologiche. Il gioco è fatto, iniziamo a guardare con occhi nuovi cose che altri non consideravano importanti. Ancora oggi, sono più le cose da scrivere che quelle che siamo riusciti a scrivere.

 

A sancire l’impegno in questo settore di ricerca del gruppo arriva dagli USA, per il suo anno sabbatico, il Professor Philip N. Chase. Vorrei dare un’immagine delle nostre sessioni di studio; sveglia alle cinque del mattino, rapida colazione siculo-americana, si studia fino alla nove su un capitolo (a volte solo un paragrafo), poi si va al mare (quello siciliano). Bagno, tintarella, pranzo, pisolino e relax (leggi birra). Prima di cena si riprende in mano lo studio per fare il punto della mattinata di lavoro e si prepara il materiale per l’indomani: alle cinque si riprende nuovamente. Dopo appena 11 anni, di studio e lavoro, revisioni, dibattiti, modifiche, aggiunte d’obbligo, e contatti via posta elettronica, esce finalmente il libro sulle relazioni verbali. Un capolavoro. Per gli studenti diventa un incubo ma lo accettano.

 

Mi accorgo, solo adesso, di aver tralasciato un fattore importante della mia crescita professionale: “le donne”. Ebbene si, nonostante gli impegni ci sono state donne (pochissime) che hanno percorso insieme a me pezzi di questa strada; chiunque avesse pensato alla loro assenza è pregato di ricredersi. Loro mi hanno aiutato e seguito, ognuna a modo proprio, nella mia crescita. Per ognuna di loro conservo un caro, sincero, fraterno e riservato ricordo e un rispettoso infinito riconoscimento per la pazienza, l’affetto e la forza con la quale mi hanno sopportato fino alla fine; fino all’ultima storia in cui la “razionalità”, ahimè, messa al servizio della gelosia ha prodotto una ferita che stenta a rimarginarsi e anche quando lo sarà, la cicatrice sarà, certo, ancora evidente. A mio giudizio, le donne non sono quel mistero che tanti sostengono, sono stato io che non mi sono uniformato via via ai tempi: pudico, riservato (oggi diremmo scemo), durante la rivoluzione sessuale; timido e romantico (oggi direi stupido), durante il periodo delle “streghe”; imbranato ed intellettuale (direi proprio sfigato) nel momento di “liberismo” sessuale. Diagnosi: una frana sentimentale, ancora osservabile. Con questo credo di aver accontentato i più attenti di voi: gli psicologi. Ma vorrei dire a questi che oltre ad una mancata sintonia di intenti e di periodi storici, oltre alla differenza di valori, la spiegazione vera è nel concetto di “appartenenza”: quando ci si incontrava tra amici, c’era il momento del pettegolezzo sessuale, molto celato e riservato, soprattutto nei termini. Ogni tanto qualcuno esordiva con un “si quella, la conosco bene, si è portata a letto ½ classe, o ½ ufficio, ½ conservatorio”; il mio problema era che appartenevo, sempre, all’altra metà del gruppo considerato. Ancora oggi sbaglio a “schierarmi”, ma sono contento lo stesso. Non mi do fastidio!

 

Dopo il Congresso di Guadalajara, nel 1992, in cui incontro ancora una volta amici come Fred Keller, Emilio Ribes Inesta, Murray Sidman, Peter Harzem, ed in cui ho finalmente l’occasione e l’onore di conoscere il Professore Shoenfeld, mi prendo una “pausa” dal lavoro per portare a termine il progetto di sopravvivenza della specie umana e contribuire allo sviluppo demografico della nazione; il mio caratteraccio non mi aveva lasciato molto spazio per la vita privata fino ad allora. Divento padre di due bambini, Annalaura e Roberto, e mi impegno nella professione di “padre rimbambito” a tempo pieno; una fantastica esperienza lunga sette anni. In questo frangente concentro il mio lavoro presso una Scuola Materna privata dove, grazie alla direttrice Sara Grasso, a “nonno Grasso” ed al suo team di fantastiche insegnanti, progettiamo e mettiamo in pratica un modello educativo all’avanguardia. Le mie conoscenze e la mia esperienza trovano un punto di incontro applicativo veramente efficace. Nasce un modello didattico, sperimentalmente controllato, in grado di orientare lo sviluppo emotivo, cognitivo e la creatività dei bambini in maniera metodologicamente innovativa. A questo impegno aggiungo una lunga esperienza lavorativa presso un Centro di diagnostica e riabilitazione per pazienti con lesioni neurologiche e traumatizzati cranici. Infine, per riempire momenti di relax, mi tuffo nello studio dell’Ergonomia.

 

Riprendo anche contatti sporadici con la musica, conduco mia figlia ai concerti e la presento agli amici del Banco, a Pierangelo Bertoli e Pierluigi Calderoni, Giancarlo Parisi, Ellade Bandini e Dino Scuderi; rispolvero qualche pezzo di strumento, giusto per non dimenticare, e di tanto in tanto “rimpatrio” in sala prove.

Nel 2000, per chiudere il secolo con un bilancio positivo, un “atto d’amore” mi riconduce a calpestare nuovamente il pavimento della ricerca universitaria, con tante cose da fare e da studiare e tanta gente da conoscere e rivedere: Phil Chase, Gary Novak, Marta Pelaez, Julie Vargas, Linda J. Hayes, Jack Marr, Mecca Chiesa e tanti altri. Il resto è attualità e spero poterla scrivere. Intanto aspetto l’occasione per conoscere Peter Gabriel e di riprendere a suonare e sperare che mio padre possa accorgersi, da lassù, della mia vita che non è riuscito a conoscere.

 

Di una cosa sono certo; nel mio futuro, ovunque “poggeranno i miei piedi o girerà la mia testa”, ci saranno sempre i miei figli, la musica, il mio lavoro e i miei studenti.

Grazie dell’attenzione.

 

Buona fortuna anche a voi.

 

 

                                                                       Renato Gentile

 

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